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Cap. 2 - GIUSEPPE SOMMARUGA

Milano 1867-1917 / Architetto italiano

Proveniente da una famiglia di artigiani decoratori, fu allievo di C. Boito all'Accademia di Brera; ma ben presto reagì all’impostazione storicistica del maestro, cui contrappose la ricerca di un'architettura capace di trovare in sé stessa, in termini di vitalità organica, le ragioni del proprio stile.

Indiscusso promotore dell'architettura milanese tra Otto e Novecento, è il caposcuola di tutta una corrente modernista che, assumendo cadenze particolari, determina il caratteristico LIBERTY italiano. All'inizio del secolo era già considerato, con il Moretti, la personalità più rappresentativa della giovane generazione di architetti milanesi. Nonostante questo, la letteratura intorno a Sommaruga è assai scarsa. Le voci più significative sono quelle pubblicate durante la vita o in morte dell'architetto: le note di Melani per il palazzo Castiglioni e una monografia scritta da Monneret de Villard che, tuttavia, essendo uscita nel 1908, non poteva ancora dar conto di edifici importanti quali le ville dei Faccanoni. Nel 1914 un intelligente contributo di G.U. Arata, tra i pochi che possono essere considerati seguaci diretti di Sommaruga. Dopo la morte di Sommaruga, commentata da due ottimi articoli, uno ancora di Arata e l'altro di Luigi Angelini, non è stato più preparato uno studio generale e ricapitolativo sulla sua attività. Nel 1982 è uscito un catalogo del Sommaruga a cura di E. Bairati e D. Riva. All'oblio ha contribuito la dispersione del materiale autografo dell’architetto, l'archivio del suo studio non è stato rintracciato. Molto probabilmente è andato disperso come è accaduto per tanti altri architetti della sua epoca. Non ci sono quindi di lui schizzi, materiali di lavoro originali, né scritti che non siano le asciutte relazioni tecniche che talora accompagnano quelli dei suoi progetti che si sono conservati negli archivi pubblici. L'immagine che abbiamo di Giuseppe Sommaruga è un'immagine riflessa, mediata attraverso le sue opere e le testimonianze dell’epoca. Una sua immagine fisica si può vedere nella foto formato tessera dei necrologi o in quella più personale, pubblicata su "Emporium" di Bergamo nel 1917.

Alla fine della sua breve ma intensa carriera Sommaruga era una personalità di spicco nell'ambiente milanese: socio onorario e consigliere dell'Accademia di Brera, membro della commissione della Veneranda Fabbrica del Duomo, direttore didattico della Scuola di disegno di Canzo, presidente dell'Associazione degli Architetti Lombardi.

Negli ultimi tempi era membro del Consiglio Superiore di Belle Arti e primo presidente della Federazione Nazionale degli Architetti Italiani. Un percorso che significava anche affermazione sociale e di prestigio personale e che si può seguire emblematicamente nelle successioni dei domicili dell'architetto. Da via Marsala 2 dove viveva da studente con i genitori, al trasferimento, dopo i primi successi, in Foro Bonaparte 50, infine alle sedi nel cuore nobile della vecchia Milano: da via Lanzone 31, nel vecchio palazzo di proprietà del suocero, a via Unione 5, a via Amedei 11, dove Sommaruga si trasferì nell' ultimo anno della sua vita.

Si sa solo (dai necrologi) che aveva una moglie di nome Adelina Volonteri, una figlia Elisa, i fratelli Giovanni e Cesare, il suocero Antonio Volonteri.

 

La formazione professionale

La formazione (corsi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano: 1883-1887) di Sommaruga non si distacca da quella comune alla maggioranza degli architetti della sua generazione. La scelta degli studi all'Accademia, tradizionale per chi intendesse dedicarsi all' architettura, rivela in quel momento il prestigio che ancora godeva l'istituzione accademica, malgrado fosse travagliata a partire dalla fase post- unitaria da una profonda crisi dei contenuti e dei metodi dell'insegnamento. Il rendimento scolastico di Sommaruga si mantenne su un livello medio, con qualche premio nei corsi di ornato e di architettura, un paio di premi a concorsi accademici e una sorprendente bocciatura finale agli esami per conseguire la patente di professore di disegno architettonico. Quel che ha potuto imparare dall'Accademia non era un gran che: la pratica delle diverse tecniche del disegno, abilità e sicurezza di mano, una buona conoscenza degli "stili" architettonici, un'infarinatura di storia dell'arte.

In quanto a preparazione tecnica, scientifica, pratica e cultura generale zero o quasi. Il diploma dell'Accademia, infatti, che abilitava all'insegnamento del disegno e permetteva di partecipare ai concorsi di architettura, non aveva alcun valore legale ai fini dell'esercizio della professione. Tale valore era attribuito solo alla laurea in architettura civile rilasciata dai politecnici. Tuttavia, negli anni della formazione scolastica di Sommaruga, la scelta dell'iter accademico era ancora prevalente, come dimostrava lo scarso numero di laureati al corso di architettura del Politecnico.

Il carattere ancora elitario della scuola di architettura si giustifica con il maggior peso, anche economico, degli studi del Politecnico rispetto a quelli dell’Accademia. Questa situazione confusa, che aveva pesanti risvolti sul piano dell'esercizio professionale, aveva creato una evidente dicotomia tra gli "architetti tecnici" (usciti dai politecnici) e gli "architetti artisti" (diplomati dalle Accademie).

Il suo professore all'Accademia di Brera di Milano, CAMILLO BOITO (1836-1914) storico interessante, difensore di una "architettura nazionale" che s'inspirò alla polemica anticlassica condotta da una trentina d'anni in Inghilterra da Ruskin e in Francia da Violet-le-Duc, è stato una garanzia di buona formazione nella sua prima attività. Ma alla fine il Sommaruga si rivelò non-boitiano. La sua prima attività (1895-1900 antecedente a palazzo Castiglioni di Milano) rientra nell'ambito dell'eclettismo, ma del tutto estranea allo storicismo di marca boitiana. Sommaruga doveva essere lucidamente conscio dei limiti della sua educazione accademica, forse non tanto per quanto riguarda la cultura architettonica, quanto piuttosto rispetto alla competenza tecnica e pratica e agli sbocchi professionali.

Si preoccupò per tempo di assicurasi i titoli che gli permettevano di esercitare la professione: il diploma di capomastro, conseguito presso quella scuola per capomastri che Boito stesso consigliava ai suoi allievi di Brera e l'indispensabile tirocinio presso uno studio professionale affermato, che di fatto apriva la strada all'esercizio della professione ai diplomati dell'Accademia.

La scelta dello studio di LUIGI BROGGI (forse suggerita da Boito) si rivela felice e fruttuosa. Broggi aveva una formazione solida e completa (diplomato a Brera e laureato al Politecnico nel 1875), una competenza professionale di prim’ordine e un notevole aggiornamento sulla situazione dell'architettura europea, ottenuto con numerosi viaggi all'estero. Per questo è probabile che l'influsso di Broggi sul giovane Sommaruga sia stato più profondo e produttivo di quello esercitato dal "professor" Boito.

Nel 1890 con Broggi appare per la prima volta alla ribalta nazionale il nome di Sommaruga con il progetto (premiato) per il concorso del Palazzo del Parlamento a Roma.

Sicuramente per interessamento di Broggi, Sommaruga partecipa con successo alla 1° Esposizione Italiana di Architettura a Torino nel 1890. Trovò pure lo spazio per la sua prima realizzazione autonoma (lo chalet Theobroma) all'Esposizione Nazionale d'Igiene ed Educazione Infantile a Milano (1891). Probabilmente a questo punto Sommaruga ha concluso il suo apprendistato di studio. Sommaruga si era presentato nuovamente agli esami nel 1890, quando aveva ottenuto i primi successi professionali lavorando nello studio di Broggi, e superò le prove. Quando ritira il suo diploma, nel 1891, la sua carta intestata reca già la qualifica di "architetto".

Da quel momento ebbe una serie fittissima di incarichi pubblici, tra cui la presidenza della Commissione edilizia del Comune di Milano per vari anni.

Mentre alle nuove esigenze imposte dallo sviluppo delle città nell' Italia post-unitaria sembrano provvedere soprattutto gli uffici tecnici comunali, con una schiera di ingegneri civili e capimastri intenti a progettare gli edifici di servizio necessari alla crescita urbana, agli “architetti artisti" sembra riservata in esclusiva l'architettura monumentale e rappresentativa (monumenti commemorativi, sacrari alle patrie glorie, palazzi del parlamento o di giustizia, musei, cimiteri monumentali).

I concorsi nazionali e internazionali, banditi per queste realizzazioni di particolare impegno servivano ai giovani diplomati dalle accademie. L'affermazione o la segnalazione a un concorso costituiva una patente di qualificazione per inserirsi con qualche possibilità di successo nel mercato di lavoro.

Sommaruga ne era talmente consapevole che soprattutto nel periodo della sua prima attività partecipava a tutti i concorsi.

Le Esposizioni Riunite di Milano del 1984, di cui Sommaruga era architetto generale, lo avevano ufficialmente inserito nell'ambito del professionismo milanese, aprendogli le porte di una committenza privata che aveva intuito le non comuni doti del giovane architetto.

Sommaruga aveva perfettamente capito che il successo gli sarebbe derivato anche da una totale disponibilità nei confronti delle esigenze della committenza o quanto meno dalla capacità di soddisfarle con un lavoro accurato, celere nell'esecuzione e economicamente conveniente.

Quella che si può leggere nei commenti in margine alle descrizioni dei lavori, apparse sulle riviste specializzate dell'epoca ("l'edilizia moderna", "il monitore tecnico") è, da un lato l'immagine di un architetto professionalmente preparato, in grado di affrontare con competenza tecnica i più disparati problemi che gli venivano sottoposti, dall'altro quella di un versatile "artista" che forniva alle maestranze, poste alle sue dipendenze, i cartoni o i modelli dal vero, di sua mano, dei repertori decorativi (dai ferri ai cementi, dai gessi alle decorazioni a fresco).
Il Sommaruga è un progettista in toto dell'oggetto architettonico e quindi inserito nella logica progettuale modernista. La grande disponibilità di questi anni da presto i suoi frutti; i suoi committenti non tarderanno, infatti, a lasciargli carta bianca consentendogli un "far grande" indubbiamente più consono alla sua personalità. Questa sua duplice immagine di tecnico ed "artista" lo accompagnerà per tutta la carriera.

Alcuni dei più importanti committenti di Sommaruga erano ingegneri (Castiglioni, Salmoiraghi, Comi, Faccanoni e Carosio) e non è un caso, essi appartenevano infatti a quel ceto di alta borghesia imprenditoriale, tecnicamente e culturalmente aggiornato, che più contatti e analogie presentava con la classe borghese dei paesi industrializzati europei.

 

 

L’architettura di Giuseppe Sommaruga

Che cosa rappresenta dunque l'architettura di Giuseppe Sommaruga? Senza alcun dubbio il liberty italiano.

Il Liberty Lombardo trova in quest'architetto una delle espressioni più complete (Palazzo Castiglioni, 1903), nella trascrizione simbolica dell'impianto volumetrico, nell'uso dei materiali, negli elementi decorativi, dove il bugnato conferisce un significato plastico particolare alla superficie, rimandando, con estrema libertà e attualizzazione, anche ad elementi di tradizione storica, rivissuti con una grande carica espressiva.

Ma l'architetto è anche caso singolare dell'invenzione di uno stile autonomo, cui la complessa cultura d'ascendenza internazionale non toglie peculiarità del tutto indipendenti. Sommaruga era ben consapevole della concezione portante di tutta l'idea modernista, il primo elementare nucleo ispirativo.

Nelle parole dei critici non mancano riferimenti a precisi stili storici citati come fonti ispiratrici del fare architettonico di Sommaruga. Al Barocco, dai cui modelli l'architetto avrebbe compreso come "lo scopo primo di ogni architettura è quella di esprimersi con un poderoso gioco di masse" (evidenziabili in talune disposizioni planimetriche come quelle dell'Hotel Tre Croci o del vicino Ristorante che rappresentano senza dubbio l'esito più maturo della spazialità sommarughiana).

Al Romanico, dai cui maestri avrebbe assunto la capacità di distribuire sapientemente la decorazione.
A ben vedere, la tradizione ha giocato effettivamente un ruolo importante nella formazione del Sommaruga.
Pur nell'abito di una cultura architettonica ancora fortemente provinciale e vincolata a tipologie di impianto ottocentesco, Sommaruga raggiunse un risultato di notevole robustezza espressiva, come già detto, nel Palazzo Castiglioni in corso Venezia a Milano, il cui involucro appare letteralmente "svuotato", e alterato nei tradizionali rapporti di pieni e di vuoti, dal grande atrio multipiano dove si snoda la scalinata.

Il tema del rapporto dialettico architettura- scultura con E. Bazzaro e A. Pirovano è quasi come una sigla personale, come i celebri inserti con i putti disseminati su ville e tombe.
Nel disegno di ferro battuto (A. Mazzucotelli) si vede l'asciutta essenzialità lineare dell'impianto di sostegno e il continuo avvolgersi in tensione del prediletto motivo nastriforme.
L'elemento floreale è la terza nota d'accordo, non germinando dal binomio di base, ma intrecciato ad esso e talora quasi sovrapposto.
Nello scritto di Monneret de Villard, che fa da prefazione al volume dedicato all'architettura di Giuseppe Sommaruga, si può leggere:

"L'Italia si è mossa in ritardo nell'allinearsi ai fermenti dell'Art Nouveau, ma benché ultima ha saputo, con quell'impeto e quello slancio che è tutto proprio del sangue latino, conquistare uno dei primi posti; e fra gli artisti che più hanno contribuito alla vittoria, un posto principalissimo deve avere Giuseppe Sommaruga”.

 

 

Palazzi, Ville, Edifici funebri

L'incontro fatidico è nel 1903 con il giovane ingegnere Castiglioni di Milano, che gli consente la realizzazione dello spettacolare palazzo in Corso Venezia 73 (oggi 47), di notorietà immediata.

Con questo palazzo Giuseppe Sommaruga inizia uno stretto rapporto di collaborazione, quasi un lavoro di équipe, con vari prestigiosi artigiani: il maestro del ferro         battuto ALESSANDRO MAZZUCOTELLI, l’ebanista QUARTI e gli scultori-artigiani AMBROSIO PIROVANO ed ERNESTO BÀZZARO.

Il secondo grande incontro avviene nel 1907 con la famiglia di ingegneri imprenditori FACCANONI, nativi di Sarnico sul Lago d'Iseo, affermatisi a Trieste e Vienna per una serie di opere pubbliche di grande importanza. Stabiliscono con Sommaruga uno straordinario rapporto committente- cliente, condizionando per alcuni anni l'attività professionale dell'architetto.

È inizialmente Luigi Faccanoni a commissionare a Sommaruga la villa di Via Buonarroti, dove Sommaruga “trasloca” le famose e giunoniche statue che tanto avevano scandalizzato la società benpensante milanese quando apparvero sul frontespizio del centralissimo palazzo Castiglioni (soprannominato per questo “Ca’ dei Ciapp”). La villa, verrà poi acquistata dall’Ing. Romeo (Alfa Romeo) e poi diventerà l’attuale Clinica Columbus. Pietro Faccanoni interpella in quell'anno Sommaruga per il restauro di un edificio industriale preesistente, una filanda, da trasformarsi in villa.

Gli altri due fratelli, Luigi e Giuseppe commissionano all'architetto milanese due ville nuove. Un mausoleo per la famiglia Faccanoni e l'asilo infantile nel 1912.

Per i Faccanoni Sommaruga progetta, costruisce, rielabora, decora, arreda, valendosi di un'equipe di collaboratori di prim'ordine che traducono esemplarmente le sue idee.

La produzione del suo ultimo periodo fu per larga parte attuata fuori Milano e anche fuori dalla Lombardia. Ville di Baveno, Stresa, Lanzo d'Intelvi, Varese e Campo dei Fiori, Treviso. Un palazzo e un teatro a Trieste, grandi alberghi a Varese, Campo dei Fiori. Edifici funebri: dall'ossario di Palestro al mausoleo Faccanoni a Sarnico, oltre a varie cappelle di famiglia; costruzioni diverse a destinazione pubblica come la serie di stazioni delle tramvie della Società Imprese Elettriche Varesine, di altissimo interesse e del tutto ignorate dalla letteratura. Purtroppo molte opere sono andate distrutte.

 

In "Giuseppe Sommaruga" di E. Bairati e D. Riva Ed. Mazzotta Milano 1982